Più lento, più profondo, più dolce. Un manifesto asinino per l’intercultura
Asinitas onlusIntercultura
E’ una specie di parolaccia, nata per creare un buco e poi provare a farci sopra un ponte di fragili assicelle.
Una parola che ognuno la capisce come gli pare, indossando un sari sopra le scarpe da ginnastica, mangiando dal cinese, ascoltando musica africana
Intercultura è una parola che per spiegarla ne servono almeno quattro
Cultura: che è la vita e come si racconta in tutte le sue forme
Rispetto: che è quella splendida giusta distanza per guardare il mondo con delicatezza
Curiosità: ciò che ti spinge verso quello che vuoi capire, toccare, assaggiare, sapere, provare
Scoperta: che non è trovare qualcosa che non conoscevi, ma ritrovare te stesso dove non ti aspettavi, una familiarità improvvisa che tu dici: “to’ guarda, quella cosa, quella persona che sembrava proprio altro è come me, è cosa mia”.
Intercultura non è una cosa, ma un come
Che mi guardi, come ti guardo
Mi senti, come ti sento
Ti avvicini, come mi avvicino
Funziona come uno specchio
Essere la stessa vita in corpi diversi
Lingua
Parlo dunque sono
Abbiamo tante lingue:
quella sussurrata dell’amore, le parole schiette e leggere dell’amicizia
quelle aperte di quando si ride, le poche parole che accompagnano i silenzi, quelle gonfie delle grandi occasioni, le parole che pesano, che tagliano, accarezzano, incendiano, evaporano
In tutte le lingue le parole fanno questo,
dunque a ben guardare non c’è che una lingua per gli umani
La condizione prima di Babele, dove si sarà cacciata?
Poi ci sono le parole straniere, che non si capiscono
Le parole dell’immigrazione che restano prigioniere,
parole inghiottite perché non sono valide in un paese che non è il tuo,
non raggiungono, non incontrano, non spiegano
Ho attraversato l’oceano la mia lingua si è perduta
Dalla vecchia radice una nuova è spuntata
(Epilogo-Grace Nichols)
Chi lo sa quanto fa male e quanta fatica fa questo vigoroso delicato germogliare?
Ascolto
L’ascolto è la fune che tira su le parole dal pozzo
Ci piacciono gli asini soprattutto per le orecchie
Ci vuole ascolto per aspettare che le parole arrivino,
si stiracchino, si sistemino, si inanellino alle altre
Ci vuole ascolto per i balbettii, per le frasi mozzate, le parole sbagliate
Le funamboliche parole tese tra due lingue, di chi cammina su un filo tra un qui e un altrove
i passi incerti e l’equilibrio instabile dei sospesi tra due mondi
Se qualcuna delle mie povere parole
ti piace
e tu me lo dici
sia pur solo con gli occhi
io mi spalanco
in un riso beato
ma tremo
come una mamma piccola giovane
che perfino arrossisce
se un passante le dice
che il suo bambino è bello.
(Pudore-Antonia Pozzi)
Corpo
Ascoltare stanca, le orecchie da sole non bastano, per prima cosa serve respirare e
poi ci vogliono anche gli occhi e il guardare, le mani e il toccare e due passi di danza
che le lingue come tutto hanno anche un ritmo e che tutti, nessuno escluso, battiamo allo stesso tempo anche quando siamo immobili
Immaginare
Prima di una parola c’era un pensiero e prima ancora un’immagine
Possiamo fare alla rovescia allora? Partiamo dall’ immagine
Questo ci regala l’arte: essere dentro la stessa immagine
Il simbolo è l’esperienza comune di un segreto
L’arte ferisce, commuove, ammutolisce, diverte, eleva,
è un’esperienza trasformativa profonda
rende umani
Cerchio
Non si può dire noi
Senza dire tu, tu, tu, tu e tu
Noi o è ognuno o non è
Un noi dove tutti stanno uguali, dove ognuno sparisce, come un plotone,
non piace a nessuno
Se noi poi a ben guardare è fatto da: noi e loro, noi e voi,
nel migliore dei casi ci fa felici a turno
Più spesso qualcuno sta sopra e qualcun altro resta sotto
Se ognuno può essere io invece
È tanta la gratitudine che naturalmente diventiamo noi
Noi è un cerchio felice
Magari sgangherato, ma felice
Comunità
……veniamo dallo stesso paese,
…abitiamo nella stessa via
….abbiamo la stessa età
…preghiamo lo stesso Dio
…facciamo lo stesso programma in palestra
…utilizziamo la stessa App
…frequentiamo la stessa scuola
Ma può nascere anche perché ci piace proprio la stranezza di iniziare facendo finta di non aver niente o poco in comune
Perché siamo qui, ora, a fare del nostro meglio per provare a essere diversi invece
La comunità dei diversi è trasversale alle comunità
Meticcio
Meticcio è bello
Meticcio non sa di essere meticcio e non sa di essere bello
Sei tu che guardandolo riconosci da dove viene ogni pezzo, ma lui non lo sa, lui se ne frega
Lui si sente sinfonia
Presenza e cospirazione
Esserci nello stesso spazio con continuità,
per essere ritrovati da quelli che tornano, tenere insieme i conflitti, ammorbidire i confini, contenere i passaggi, resistere
Solidi come una casa, riconoscibile, aperta, che consenta la presenza di ciascuno perchè
solo la presenza fisica crea co-spirazione
La presenza virtuale è sempre un po’ differita nei tempi, non so cosa sente l’altro mentre parlo, mentre agisco
Resta un dubbio
Condividere lo stesso spazio nello stesso tempo è una comunicazione non sostituibile
Ci possiamo dire tante cose scrivendoci, videochiamandoci, possiamo emozionarci perfino, a volte di più, che quella lontananza dei corpi ci fa più vulnerabili e dunque aperti e sentirci ci consola tuttalpiù, ma co-spirare non possiamo
Quando chiudi quel PC, spegni quella App, ti guardi intorno e quella solitudine rende tutto quello che hai scambiato, detto, condiviso, vero sì, ma vero a metà
Cittadinanza ai cattivi sentimenti
Se vogliamo mettere il razzista che abita dentro ciascuno di noi in condizione di non nuocere, dobbiamo prima di tutto frequentarlo e conoscerlo bene, e persino dargli qualche piccola soddisfazione
Altrimenti corriamo il rischio di cadere nel genere della predica edificante, che produce il più delle volte effetti controproducenti: una crescita smisurata di sentimenti cattivi, o un’afasia emozionale simile a quella del giovane paziente di Bruno Bettelheim:
“Mia madre mi lavò la bocca col sapone per via di tutte le brutte parole che dicevo, ed erano proprio brutte parole, lo ammetto. Quello che non sapeva era che lavandomi la bocca da tutte le brutte parole lavò via anche quelle buone”.
(B. Bettelheim, Le fiabe e le paure dei bambini)
L’etica della fragilità
Alexander Langer portava l’etica della fragilità
C’è un solo modo di procedere diceva, a pensarlo oggi davvero sovversivo:
più lento, più profondo, più dolce
Asinitas onlus si occupa di educazione e intervento sociale con la finalità di promuovere attività rivolte alla cura, all’educazione-formazione, all’accoglienza e alla testimonianza di persone minori e adulte, italiane e straniere.
Le attività messe in campo sono rivolte in particolare a richiedenti asilo, migranti, donne straniere con bambini e italiani: corsi sperimentali di italiano L2, laboratori manuali espressivi, uno spazio d’ascolto per donne e famiglie italiane e straniere, laboratori teatrali, percorsi di orientamento socio-sanitario e legale, formativo e professionale, corsi di formazione per insegnanti, operatori ed educatori.
Asinitas nasce dalla convinzione che oggi nelle nostre città ci sia un gran bisogno di creare contesti condivisi con persone provenienti da altri paesi. Prima ancora che uno spazio fisico abbiamo immaginato la lingua italiana, come lingua di un paese ospite, il territorio da conquistare e condividere.
Così fin dal 2005 abbiamo cominciato a sperimentare l’insegnamento dell’italiano in diversi luoghi della città, aprendo scuole e classi che via via si andavano definendo grazie a un continuo rimando tra teoria e prassi, tra ricerca e azione. L’associazione promuove, attraverso la creazione di contesti educanti per tutti, l’esistenza di voci plurali capaci di farci comprendere i contorni e le radici della condizione della migrazione, dell’esilio e, più in generale, dell’emarginazione formale e sostanziale.
Punto fondante la nostra metodologia è che i contesti formativi vadano costruiti insieme alle persone che partecipano alle attività. L’approccio è centrato sul desiderio espressivo e sulle possibilità di rafforzamento e sviluppo individuale e collettivo, favorendo l’incontro della persona “nel suo corpo e nella sua storia”. La metodologia utilizzata si ispira e rivisita gli insegnamenti dei maestri della tradizione come Montessori e Freinet e si nutre del confronto con le moderne esperienze pedagogiche “di frontiera”, in una continua ricerca e sintesi.
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