Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, Roma
Valerio Colomasi BattagliaÈ un discorso ampio, che rimanda all’idea di base del luogo-città, alla sua funzione sociale politica, e alla logica di organizzazione dello spazio pubblico via via sempre più sbilanciata verso le necessità della persona-consumatore rispetto a quelle della persona-cittadino.
Se questo processo di trasformazione rischia di rappresentare una crisi del concetto stesso di cittadinanza in generale, può avere delle conseguenze ancora più dolorose quando riguarda gli spazi di minoranza, come quelli della comunità LGBT+, che nella costruzione di luoghi propri ha trovato una straordinaria soluzione comunitaria all’assenza di spazio nell’ambito della società in generale.
La comunità LGBT+, è ormai tema ricorrente, è caratterizzata da una specificità non indifferente rispetto alle altre comunità oggetto di oppressione e discriminazione. Se infatti gli altri gruppi sociali definiti asetticamente “minoranze” sono caratterizzate il più delle volte dall’identità interna al nucleo familiare in relazione all’elemento di differenziazione con il resto del corpo sociale (etnia, religione, status socio-economico), questo evidentemente non avviene (o avviene in casi molto rari) per le persone LGBT+. Questo elemento, che rasenta l’ovvietà, è carico di conseguenze sociali. L’assenza di questa identificazione all’interno del nucleo familiare ha infatti da sempre minato l’idea della casa familiare come rifugio dalla società che, per quanto necessiterebbe la stessa di una ulteriore riflessione in termini politici e culturali, rappresenta comunque uno dei messaggi più ricorrenti da cui veniamo bombardati sin da piccoli.
Se la casa familiare non è necessariamente il rifugio per la persona LGBT+ è necessario costruire nuove case e nuove multiformi “famiglie” per trovare spazi adeguati alla crescita civile e culturale. Non faccio riferimento, in questo caso, alle situazioni di violenza e discriminazione in ambito familiare, che a maggior ragione richiedono l’intervento di reti di protezione esterne, ma alla condizione che quasi tutte le persone LGBT+ hanno vissuto, e vivono tutt’ora, nel crescere in uno spazio politico, culturale e spesso familiare in cui risulta ancora difficile trovare naturalmente elementi di connessione che contribuiscano positivamente alla formazione dell’identità personale.
Non è un caso, infatti, che una delle accuse più ricorrenti rivolte alle persone LGBT+ è quella di “ghettizzarsi”, ossia di creare degli spazi autonomi, spesso con regole e linguaggi autonomi, spazi politici e culturali che all’occhio esterno sono impenetrabili ma che in realtà sono per loro stessa natura aperti e attraversabili, essendo nati in risposta a una domanda di accoglienza. Questo genere di accuse proviene, sempre più spesso, anche da persone LGBT+ che nella società oggi trovano abbastanza per sentirsene pienamente parte e che quindi non comprendono la necessità di una parte consistente della nostra comunità di trovare uno spazio proprio. A ben vedere questa dinamica richiama spesso quella del privilegio, invisibile per chi ne beneficia ma ineludibile per chi ne è vittima.
Valerio Colomasi Battaglia, 28 anni, presidente del Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli, consulente giuridico, da Siracusa si è trasferito a Roma per gli studi universitari. Ha iniziato a fare attivismo LGBT+ nel 2011 fondando l’associazione LGBT+ universitaria LUISS Arcobaleno.
Circolo di Cultura Omosessuale Mario Mieli. Già prima del 1983, anno della sua fondazione, le stesse persone che gli diedero vita creavano spazi politici, culturali e sociali per una comunità che non aveva alcun diritto di esistenza nel contesto pubblico. Questa finalità iniziale è poi diventato principio ispiratore che nei decenni è stato declinato in tante modalità differenti: i primi passi nella lotta all’HIV, la nascita di Muccassassina, il primo Pride del 1994 e, da allora, tutti i Roma Pride, i servizi che da quasi quarant’anni forniamo alla collettività, tutte queste azioni rappresentano modelli di come la comunità LGBT+ a Roma ha risposto e risponde alle necessità di spazi, e di come è stata in grado di difenderli per tanto tempo.
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