Di cosa abbiamo/ho bisogno
Valentina ValentiniCon il terzo numero di TBQvoices siamo partiti da una domanda che è anche enunciato assertivo: di cosa abbiamo/ho bisogno?! Al singolare e al plurale, io come parte di un insieme. Cosa è necessario per dare senso alla mia esistenza. Quale è la frattura fra io e noi? Quale il conflitto tra la mia felicità e quella collettiva? Abbiamo presupposto che il motore del bisogno sia il desiderio, una sorta di daimon che guidi, tracci un percorso. Abbiamo invitato a riflettere su questa domanda/asserzione artisti di teatro/danza, una scrittrice, un artista visivo e un teologo-sacerdote con il quale abbiamo dialogato. Il numero si dipana dal fuoco centrale di questo dialogo che promana da una visione religiosa (cristiano-cattolica) dell’esistenza, percorrendo le scintille di bisogni e desideri individuali e collettivi e tratteggiando una comunità che comprenda il vivente e non solo l’umano.
Dalla pluralità di voci invitate a riflettere insieme a noi è emersa una mappa di temi e desideri:
«Seduti alle nostre scrivanie, tenendo a bada i nostri corpi frementi, mai come adesso dobbiamo calmare il nostro respiro rendendolo lieve e potente al tempo stesso, per sincronizzarlo a quello di un’intera comunità, come in una meravigliosa danza d’insieme, che si staglia in un’immagine di forza e di avanzamento unito».
«La mia felicità trova le sue radici nell’azione collettiva. Il mio corpo d’artista trova il suo Gestus confondendosi nel Noi e poi uscendone solo, diverso, vivificato anche dall’incontro più duro».
«Non voglio dimenticare che senza pietà è impossibile vivere.
Non voglio essere indulgente.
Essere severo è necessario.
Sento l’incapacità di smarcarsi.
Di differenziarsi.
Sento il desiderio di abbattere le riserve in cui abito.
Non vorrei farlo da solo.
Ma sento che ho bisogno di farlo.
Che ne abbiamo bisogno».
«Credo che la nostra scommessa culturale più urgente sia dare una funzione politica e senziente a ciò che chiamiamo natura e ciò che chiamiamo cose, compreso quelle più astratte come le macchine e i concetti. Questa è la manovra culturale che sento più necessaria e che dobbiamo approfondire: come dare occhi ad ogni cosa con cui entriamo in relazione?».
«Comunicazione è comunione di vita».
«Cosa può essere la realtà se non riusciamo a sbloccare certi meccanismi infami, perversi, e a dare spazio a dinamismi di creatività e di bellezza intorno a noi? »
«Alimentare il sogno, per essere più reale di ciò che avviene realmente, per prospettare una realtà che sia ulteriore rispetto a quella che è sotto i nostri occhi.
E l’uomo è chiamato a tradurre la propria realizzazione in gesti di bellezza, gesti, atti, movimenti, cose da realizzare.»
«Tutto arde producendo un vociare confuso e vivace che fuoriesce dalle torri/pire/organi/paesaggi di periferie/erezioni monumentali di palazzi prepotenti/sguardi dal basso e dall’alto/desideri di calore … tutto fuoriesce come un coro gioioso e festante da quei fori che normalmente trasportano liquami, invertendo il basso in alto.
La città brucia! Bruciano le sue abitudini, ardono con esse le cose da dimenticare o da cambiare, in modo che la città si definisca come un crogiolo di cambiamenti che produce cenere. Ecco! ripartire dal colore caldo della cenere, grigia, accogliente e fertilizzante».
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