Fuoco – Cenere – Silenzio
Alfredo Pirri“… Il fuoco è intimo e universale. Vive nel nostro cuore. Vive nel cielo. Giunge dagli abissi della sostanza e si offre come un amore. Ridiscende nella materia e si nasconde, latente, sopito come l’odio e la vendetta. Tra tutti i fenomeni è veramente il solo che possa ricevere in modo così chiaro i due valori contrari: il bene e il male. Splende in paradiso. Brucia all’inferno …”1
Fuoco – Cenere – Silenzio è una installazione messa all’opera al Circo Massimo, a Roma, la notte di Capodanno 2020. Consiste di sei torri in cemento e metallo, sei pire sacrificali di dimensioni variabili, dai quattro agli otto metri di altezza. Il titolo ne descrive il processo di trasformazione che le torri sono destinate a subire: prima il corteggiamento dei fuochi artificiali e dopo l’aggressione del fuoco vivo. Esse, infatti, sono circondate, quasi ingioiellate, da fuochi d’artificio che battono il tempo di un countdown luminoso e gioioso, avvolgendole con scoppi e colori fiammeggianti originati in modo concentrico da terra, per poi innalzarsi verso il cielo con un’ultima e festosa eruzione di sei sfere di luce bianca sprigionate ognuna dall’interno di una singola torre. In seguito, alla mezzanotte precisa, il fuoco, questa volta naturale, si sviluppa all’interno delle torri trasformandole da torri cittadine in fornaci rombanti il cui suono richiama quello di un organo che viene a patto col fuoco, prima cercando di armonizzarlo, dopo cedendo al grigio della cenere e, infine, al tanto piacevole quanto doloroso silenzio del giorno. Il materiale con cui le torri/pire sono costruite richiama il sottosuolo, provenendo dal suo ambiente sotterraneo. Sono tubi di cemento forati, protagonisti degli impianti fognari (non sempre leciti) che costituiscono una rete sotterranea sopra la quale la città riposa e vive affidandosi ad essa per raccogliere e portare lontano tutto quanto è da smaltire. Questi anelli, tenuti in sagoma da una struttura metallica elementare che li incornicia rendendone la forma compatta, assemblati in posizione verticale, assumono la configurazione di una porzione di skyline urbano.
Fuoco
Vedendole ardere a distanza ci verrebbe da urlare: “La città brucia!” Bruciano le sue abitudini, ardono con esse le cose da dimenticare o da cambiare, in modo che la città si definisca come un crogiolo di cambiamenti che produce cenere. Ecco! ripartire dal colore caldo della cenere, grigia, accogliente e fertilizzante, che ti viene la voglia di raccogliere per farne il colore da usare come sfondo per quadri nuovi, come facevano i pittori di icone che producevano per i fondi delle loro tavole un colore grigiastro e sporco, col sentore d’infinito e l’indefinitezza dell’anima, sopra il quale ogni colore brillava di più che sullo sfondo banale del bianco della ragione.
La città torni a sé stessa, alla sua grandezza attraverso la festa del fuoco che accoglie dentro di sé festosamente, rabbiosamente e come in una metamorfosi catartica, tutto quello che gli viene offerto: le potature dei suoi alberi, la paglia delle sue campagne, i crepitii dei suoi canneti, le attrezzature tecniche che attraversano le torri al loro interno. Tutto arde producendo un vociare confuso e vivace che fuoriesce dalle torri/pire/organi/paesaggi di periferie/erezioni monumentali di palazzi prepotenti/sguardi dal basso e dall’alto/desideri di calore… tutto fuoriesce come un coro gioioso e festante da quei fori che normalmente trasportano liquami, invertendo il basso in alto, quello che scola in quello che evapora, innalzandosi al cielo, offrendo il suo odore a un Dio nascosto fra le nuvole o sprofondato nella terra. Odore di fumo che fa allegria, non come quello proveniente dai roghi criminali o da quello dei libri che bruciano, ma come quello degli accampamenti nomadi, delle feste di paese, infine dei desideri che ardono in ognuno di noi.
Cenere
Noi siamo come quelle torri che, accendendosi come pire solitarie, diffondono luce vitale e calore rigenerante che ci riempie anche se nel frattempo ci consuma. Da fuori, anzi da lontano, vedi solo fumo che canta i suoi racconti con la voce unitaria di un coro che urla al cielo le sue canzoni rabbiose e monocrome: le tragedie della storia, teorie ben scritte, fatti sociali e collettivi.
Silenzio
“Fumo di Fumi dice Qohélet Fumo di fumi Tutto non è che fumo …”2
Alfredo Pirri è un artista che opera al confine tra pittura e scultura, architettura e installazione e che s’impone all’attenzione del pubblico internazionale fin dalla metà degli anni ottanta. La materia, il volume, il colore e lo spazio sono i principali strumenti della sua poetica. L’originalità del suo lavoro risiede nell’utilizzo della pittura come veicolo di luce e della luce come elemento architettonico e spaziale. Lo spazio diventa paesaggio abitato da sculture plastiche in cui la superficie pittorica crea presenze di luce e ombre. L’arte di Alfredo Pirri crea un confronto armonico con l’architettura e tende costantemente alla creazione di un luogo archetipale, spazio abitabile e allo stesso tempo luogo di una funzione pubblica.
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