Io e Anaconda
Vaiva GrainytėQuest’autunno la mia casella di posta elettronica è stata raggiunta da una notizia sconvolgente.
Ormai avevo quasi dimenticato che l’anno scorso — volendo saperne di più sulle mie origini, i possibili rischi per la salute e le potenziali malattie ereditarie — avevo raccolto un po’ di saliva in una provetta e l’avevo spedita in laboratorio. Le risposte le ebbi dopo un mesetto. I cromosomi analizzati rivelavano un sangue di svariate etnie: la prima antenata della linea materna proveniva dall’Africa e la sede d’origine del DNA del primo antenato di parte paterna sarebbe tipica di alcune piccole tribù siberiane ormai quasi estinte.
I risultati delle analisi hanno anche confermato alcune cose che già sapevo: ho una tendenza alla lentigginosi, sono piuttosto intollerante al latte e ai derivati, ho il sonno non solo poco profondo ma anche agitato.
Quella volta, dunque, avute le risposte mi misi ad esaminarle scrupolosamente e non mi mancò lo zelo di mettermi sulle tracce dei parenti biologici di ventisettesimo grado mostrati in un grafico a rete — ovvero persone con cui si ha una corrispondenza dello 0,18% del DNA e un qualche segmento o profilo in comune.
La notizia che mi ha tolto il terreno da sotto i piedi, di cui dicevo all’inizio, mi è arrivata dal database genetico: essa afferma che ho una sorella.
Ho inviato immediatamente un messaggio a questo nuovo membro del database, ovvero alla mia half-sister — tale la dichiara la piattaforma — celata dietro il soprannome di Anaconda. Questa ha risposto quasi subito e in inglese. Scambiatici i numeri di telefono, abbiamo iniziato a scriverci messaggi via WhatsApp cercando di chiarirci come fosse avvenuto di non sapere l’una dell’altra. Il nostro zelo investigativo ha poi traslocato su Skype; a quel punto ho visto il suo volto sullo schermo: completamente diverso dal mio, ma allo stesso tempo con un chissà che di simile.
Jessica — economista e matematica, appassionata di scacchi, nata e cresciuta sulla costa occidentale degli USA — ha una parlantina rapida inframezzata di termini spagnoli; era sorpresa del fatto che io in Lituania non festeggiassi Halloween, non praticassi sport e non mi fossi mai rifatta il naso. Ha chiacchierato per un po’ di automobili, delle sue strane avventure coi ragazzi, di tavole da surf, di cosmesi; allo stesso tempo, però, ha ragionato con trasporto di astronomia e astrologia, scintilla di ironia e di umorismo nero. Questo tratto comune — l’unico, a parte qualche altro piccolo interesse — ci ha unito e ha permesso alle nostre orbite di continuare ad incontrarsi e così abbiamo portato avanti la relazione.
L’ambiente e gli avvenimenti dell’infanzia hanno avuto una forte influenza su di me: il condominio grigio, i genitori impegnati, il crollo della cortina di ferro e con esso l’apertura del mondo capitalistico abbondante e straripante d’ogni bene, le malattie congenite, i cartoni surrealisti sovietici, le quattro stagioni ben scandite, la malinconia che impregna le giornate e le macabre novelle popolari lituane. Mi piaceva giocare da sola sul balcone del condominio osservando le formiche scorrazzare per le foglie della begonia oppure studiando le mosche, i ragni e le loro sottospecie. Più tardi, nell’adolescenza, il balcone è stato sostituito dagli amici più grandi, gente stramba d’ogni sorta che mi ha aperto il mondo della musica e della letteratura. Ora, scoperta l’inaspettata America della mia identità biologica — Jessica — mi sono messa a elucubrare su come sarei oggi se fossi cresciuta in California, circondata da leoni marini, grattacieli, sequoie, da un contesto multiculturale, dai venti del Pacifico e dal codice “I’m fine, how are you?”. Non appena iniziati i contatti con la mia pseudo-sorella mi sono nati dei dubbi sulla profondità di canyon della mia identità, sulla sua autenticità monumentale. Sarebbero più bianchi i miei denti grazie alla maggior concentrazione di fluoro nell’acqua potabile? E parlerei più rapidamente, e il volto sarebbe più disposto al sorriso? E quei dodici fratelli trasformati dalla strega in corvi1 mi inseguirebbero fin dall’altra parte dell’oceano, attaccati alle code dei cromosomi, con tutta la loro malinconia? (Essi a quanto pare non erano invece riusciti ad inseguire mia sorella). E Jessica spettegolerebbe e scherzerebbe così tanto alle feste se avesse avuto meno sole e pesce fresco e più insonnia e composte di frutta (a base di bacche — precisamente di ribes nero — dell’orto collettivo) fatte da una nonna sfinita dall’instabilità politica?
Parliamo anche di attualità, io e mia sorella.
Mentre il mondo è scosso dalla seconda ondata del virus, ci capita meno spesso di perdere le chiavi di casa: per la maggior parte del tempo restano infilate nella serratura. I ragni hanno trovato la maniera di tessere le loro tele sulle valigie. Non più tardi dell’anno scorso quello era il luogo meno stabile, il punto più mobile della stanza. Gli amici sui social condividono video della propria noia, la nostalgia della movida; i colleghi del ramo culturale si augurano di veder riaprire musei o gallerie. Ogni giorno mi arrivano per posta elettronica inviti a partecipare a incontri su Zoom o a qualche evento online. Se solo potessi, pianterei le attività virtuali e approderei al remoto continente Offline. Quest’anno mi ha permesso di scoprire che mi sento al meglio (sono più felice) restandomene in disparte anziché al centro dell’attenzione. Per la mia pseudo-sorella Anaconda vale esattamente il contrario, lei soffre molto le limitazioni in questa situazione d’epidemia.
Ecco, lei adesso starà scorrendo le lettere di questo testo, sbuffa scontenta e, trovandosi in disaccordo con l’ultimo paragrafo, minaccia di divorarmi.
Vaiva Grainytė è una poetessa, scrittrice e drammaturga lituana. Il suo libro di saggi Beijing Diaries (2012) e la raccolta di poesie Gorilla’s Archives (2019) sono stati nominati per i premi Book of the Year e inclusi tra i primi dodici dei libri più creativi in Lituania. È una delle autrici dell’opera lirica Sun and Sea (Marina), insignito del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia (2019).
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