Prologo corale
Valentina ValentiniTBQvoices è uno strumento per riflettere e discutere su questioni che ci “pungono” al presente, un presente che incrocia e intercetta anche la distanza del passato. Indagare il “proprio ora” per pensare il “da sempre”; e viceversa volgere lo sguardo al “da sempre” per decifrare adeguatamente il “proprio ora”. Essere attenti al contemporaneo vuol dire misurarsi costantemente con tempi e spazi in movimento, non conformarsi alle opinioni, percorrere sentieri che disorientano.
TBQvoices vuole affrontare delle questioni con gli artisti coinvolti nelle attività del teatro, con chi gestisce e organizza le istituzioni culturali, con e nei luoghi di aggregazione sociale del Quarticciolo, della città e del mondo.
Che Ora è? è la domanda che abbiamo rivolto in questo Numero 0 a: Luca Bergamo (Vice Sindaco e Assessore alla Crescita Culturale), Chiara Bersani (autrice e performer) con Marta Montanini (Phd, Università di Torino), Ilenia Caleo (performer, attivista e ricercatrice indipendente), Paolo Emilio Cenciarelli (fotografo), Carlotta Garlanda (project manager), Roberto Latini (autore, attore e regista, Fortebraccio Teatro), Franco Lorenzoni (maestro elementare, scrittore, fondatore della Casa-Laboratorio di Cenci), Mario Martone (regista), Ermanna Montanari (autrice e attrice, fondatrice del Teatro delle Albe) e Marco Martinelli (regista, fondatore del Teatro delle Albe), Omar Rajeh (danzatore, coreografo e direttore artistico Maqamat/Libano). Con le loro parole abbiamo provato a costruire un “corale”:
– I piccoli si devono sempre adattare. Nessuna bambina o bambino ha scelto i suoi genitori, la casa, la città e sospetto neppure il pianeta dove la loro vita ha attecchito.
– Entrando nell’area del Quarticciolo ne ho subito la forza centripeta, causata dal suo moto.
Un moto di abitanti, cittadini; palazzi ed ambienti.
– Eppure in tanti non avevano mai pensato di guardare cosa c’era oltre il muro. Ebbene, oltre il muro c’è la città del futuro.
– [Ma] Ci sarà un dopo? Prima era sempre così scontato che ci fosse, un dopo.
Perché forse stare sul bordo, tra l’azzurro e il nero, è già un’invocazione all’oscura divinità del futuro.
– “NON È L’ORA” della velocità, delle sinapsi, non dell’affanno, non della conquista.
non è l’ora del destinarsi, non è più importante il viaggio, non le immagini, l’orizzonte per
medicare la miopia, ….
– E’ l’ora in cui alle parole, alle dichiarazioni, ai manifesti, bisogna far seguire i fatti.
Ma anche ieri, e l’altro ieri, e la scorsa settimana, e lo scorso mese, e anche negli anni che ci stanno alle spalle, anche in quel tempo bisognava far seguire alle parole i fatti.
– L’evidenza dell’assoluta fragilità del comparto culturale sta innescando un processo di rivendicazione e di coesione che certamente riuscirà a proporre nuove visioni e differenti strumenti.
– Infatti, non penso che ci sia lo spazio per un recupero di quanto è andato perduto, si tratta di reinventare un modello di sviluppo diverso. Forse questa vicenda dell’epidemia globale porterà a riconsiderare il rapporto tra dimensione pubblica e dimensione privata.
– E invece, davanti alla paura, il mondo si è parcellizzato. C’è chi è rimasto, chi non ha nemmeno preso in considerazione l’idea di spostarsi, ma io continuo a guardare chi ha fatto un passo di lato dicendomi “devi capire”.
– La vera lotta culturale è quella di formulare una nuova percezione che vada oltre le forme assestate del potere e del dominio. Un dibattito tanto ecologico quanto umano che combatta tutti gli altri “virus” che stanno contaminando le nostre vite e rapporti.
Pensiamo ai prigionieri politici, agli artisti che hanno censurato e condannato, ai centri culturali che hanno chiuso, agli individui che vivono in povertà e nella paura, alle comunità minacciate e private delle proprie libertà di scelte di vita.
– Deprodurre deprodurre non è decrescita o pauperismo ma accorgersi che non c’è bisogno di produrre così tanto, che ci potrebbe essere a disposizione lo stesso reddito, le stesse risorse anche facendo meno.
– Cosa faremo quando riapriranno i teatri e i festival? Dovremmo tenerli chiusi, un giorno di più.
Prendere questo tempo come un esercizio collettivo allo sciopero. All’interruzione. Al blocco. Per rinegoziare le condizioni.
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